Blog di Lucia Di Mauro

martedì 19 aprile 2016

Cammino e sono in mezzo ad una strada di Torino nel 1960

Scorgo questo articolo sulla pagina di CDS, valuto la sua lunghezza, controllo il nome dell’autore, visualizzo la data di composizione. E’ datato qualche anno addietro e non so se perderci tempo e fatica visiva al computer, inoltrandomi nella lettura. Si scrive di Fenestrelle. Bene, conosco già abbastanza il tema, posso abbandonarne la lettura.  Eppure come dei flash, i miei occhi raccolgono parole frammentate come : “ ci attanagliava l’angoscia,……un senso di oppressione e di dolore fisico…… quel sito maledetto”. Mi entra dentro un po’ di sofferenza e……sono a Caserta, è il 9 luglio 2011, fa molto caldo. Stiamo partendo per Fenestrelle. Accanto a me uomini e donne di cui conosco poco, forse qualche volto già scorto altrove, forse qualche nome non del tutto inedito, non altro. Non so dirvi molto del viaggio, perché non rammento strade e nomi ma solo un sentimento profondo, quasi viscerale, d’identificazione con ciò che mi circonda. Così cammino sui sentieri di Fenestrelle . Cammino e vedo sulla pietra il sangue dei nostri giovani eroi trucidati per un giuramento di fedeltà. Cammino e sento il freddo della neve che a poco a poco paralizza, mentre piango il sole della mia terra. Cammino e sono in mezzo ad una strada di Torino nel 1960, non so dove andare perché, qui, non si affitta ai meridionali. Cammino e parlando un inglese mischiato col mio dialetto, tento la fortuna in questa strada Newyorkese perchè “o briganti o emigranti”. Cammino e mi sento chiamare dal capoufficio nella Milano anni ’70, mi dice che gli dispiace, che mio padre è morto; io avrei voluto accompagnarlo negli ultimi istanti ma devo stare qui. Cammino ed ho 11 anni, non voglio piangere, cerco solo di disinfettare la ferita che lo spintone di un mio compagno mi ha procurato, facendomi precipitare a terra, perché dovevo stare lontano da lui, perché puzzavo come tutti i napoletani. Cammino ed i medici mi hanno detto che non mi rimane molto da vivere perchè sono nato e cresciuto nella terra dei fuochi. Cammino e, finalmente, insegno a tempo indeterminato in questa scuola nel padovano, tuttavia oggi è un giorno triste, un giorno dove l’orgoglio del mio diventare insegnante si è scontrato con le parole del mio preside che mi ha definito il peggio del sistema scolastico italiano essendo io, donna, meridionale, laureata a Napoli e per di più con uno sgradevolissimo accento. Cammino e mi chiamo Nicola Zitara, con rabbia e lucidità, cercherò, indagherò la verità e renderò al mio popolo giustizia. Si, io sono tutti loro e sono anche questi miei compagni di viaggio che fanno discorsi con la voce rotta dall’emozione ed hanno gli occhi lucidi per questo giorno di tormentosa memoria. Tutti con questo stesso sentimento che ci unisce. Forse è da qui che dobbiamo partire per fondere insieme tutte le realtà del nostro disunito e sgangherato “mondo meridionalista” che ha molti nomi, si chiama Comitati due Sicilie, si chiama Insorgenza, si chiama Neoborbonici, si chiama Mo, si chiama partito del sud, ecc., ma che ha un unico ideale, un medesimo sentimento di appartenenza Un bravo a Fiore Marro che, in questo suo bell’articolo, ha saputo prendere il lettore per mano e portarlo con sé in un viaggio nel passato, osservato, però, con gli occhi del presente. Grazie presidente.  Lucia Di Mauro

Amiche

 

La mia amica si chiamava Anna, era la mia migliore amica. Non ricordo bene perché, forse era tranquilla molto più di me. C'erano da dividere tra noi i piatti succulenti preparati da lei, sempre squisiti, e il sonno, quando io non dormivo. Anna non abitava in collina, come me, ma dove il cemento grigio rende grigio il celo d'una ventosa giornata invernale. Il pulman per giungere a casa sua finiva lì la sua corsa e quando dovevo prenderlo, per tornare nel mio quartiere, prima d...i salire ero obbligata a chiedere se il mezzo andava al deposito oppure “giù Napoli”.
Anna un giorno fece un sacrificio per me: lei ed io volevamo lui, ma lui voleva lei, così lei non gli parlò più. D'allora tutte le donne sono amiche mie, anche se non lo sono.
A lui non parlasti più, ma quante parole tra noi due, soprattutto a telefono. Ricordi? Tu ammiravi le mie parole di poesia, “ermetiche” dicevi; io non ti ho mai confessato che ammiravo e un po' invidiavo le tue, dirette semplici e capaci di cogliere il concreto, come quando rispondesti a quei due cretini. Rido ancora.
Tu non volevi nemmeno la patente, ma io, capisci, dovevo trovare strade e perdermi per ritrovarle.
Così ti parlai di “palle al piede” o qualcosa di simile. Ma tu nemmeno allora andasti via.
Mi salutasti dopo il congedo di tua madre: io e lei appartenevamo al tuo mondo bambino.
Quanto è trascorso? Non so, ma adesso sono grande sai, ci sono riuscita, almeno mi pare per quest'ora.
Ho altre amiche che mi raccontano la nostalgia del tempo vissuto. Io no, io non rimpiango allora, né mi mancano i passi forti di paura e il non sapere mai. E malgrado le loro uniformi voci, a te lo posso dire, oggi sto molto meglio.
Lucia Di Mauro

lunedì 18 aprile 2016

Il potere degli sbandati

 
Eppure la mia generazione derideva Dio, famiglia, patria. Nata dopo il ragazzi “On the Road” (Sulla strada”, romanzo Jack Kerouac, manifesto sessantottino), aveva assorbito in sé i valori della modernità, teorizzati dagli intellettuali almeno un paio di secoli prima, ma senza esserne consapevole. Semplicemente, era ovvio, il nuovo dettava: “Religione, oppio dei popoli. Famiglia, strumenti di controllo e prigione affettiva. Patria, una convenzione per arricchire i mercanti d'armi”. Tutto il resto era dubbio ed il dubbio era l'unica verità, l'unico valore. Fu l'epoca del relativismo, che noi accettammo con la stessa acriticità con cui i nostri padri avevano creduto nei tre punti cardine della loro società.

Il tempo è passato, il mondo è cambiato. Oggi parlare di religione, famiglia, patria è un po' ingenuo, è proprio d'un idealismo da martire per la causa, qualunque essa sia.

Nei salotti radical chic, virtuali o televisivi, per essere credibile devi esprimerti in termini di signoraggio, potenza delle banche, governo massonico del mondo, lobby, ecc....Usando codici di un vecchio linguaggio la parola d'ordine non è tanto denaro, ma POTERE.

La mia generazione ed io, in fondo, continuiamo ad assistere da spettatori ad una rappresentazione poco comprensibile: troppi cambiamenti per poter credere in qualcosa.

Così assisto allo scorrere, a singhiozzo, delle notizie sulla mia Home page di facebook: ognuno offre al mondo una piccola parte di sé, anche nella falsità di una maschera; ognuno vorrebbe attenzione, senza pensare che ciò che si svende perde la sua preziosità.

M'impongo, almeno per dieci minuti, di leggere tutto ciò che passa davanti al mio sonno e vedo te: un omino senza età, leggermente genuflesso in una preghiera, con una bandiera sulle spalle, di fronte all'orrore.

Non so perché ma d'improvviso tutti i miei valori sono lì con te e capisco che religione, famiglia, patria sono radici, origine, identità; sono io stessa.

Così in uno Stato di morti, la mia Patria è viva!

Napoli 17 aprile 2016

Lucia Di Mauro