Blog di Lucia Di Mauro

Blog di Lucia Di Mauro

lunedì 18 luglio 2016

I soldi del piano Marshall

Siamo alla fine dell'ultima guerra. Tutto è distrutto. Tutto è da ricostruire. La volontà di espansione del sistema economico americano porta in Europa e in Italia i soldi del piano Marshall. Lo stivaletto italico, tanto mal rattoppato dai savoiardi, ha, così, l'occasione di ripartire da zero e costruire l'unità su basi di eguaglianza per tutte le zone del paese. Ma la scelta è quella di sempre dal 1861, è scelta di disparità, di asservimento di una parte della nazione allo ...sviluppo dell'altra. Il sistema produttivo del sud è completamente annientato, quello del nord, invece, conserva ancora qualcosa. «Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali.» scriveva don Milani ed anche in questo caso si decide di perpetuare l'ingiustizia: i soldi vadano immessi nel sistema produttivo del nord perché il sud è troppo devastato. Dunque le risorse che erano un risarcimento proprio per quei territori maggiormente saccheggiati dalla guerra e che quindi erano destinati alla ricostruzione del sud, vengono date a quella parte del paese che ne ha meno necessità. Come conseguenza di tali scelte nascerà l'emigrazione interna dal sud al nord, che sarà, per la nostra gente, ancora più umiliante di quella generatasi nel periodo post risorgimentale. Lucia Di Mauro

martedì 19 aprile 2016

Cammino e sono in mezzo ad una strada di Torino nel 1960

Scorgo questo articolo sulla pagina di CDS, valuto la sua lunghezza, controllo il nome dell’autore, visualizzo la data di composizione. E’ datato qualche anno addietro e non so se perderci tempo e fatica visiva al computer, inoltrandomi nella lettura. Si scrive di Fenestrelle. Bene, conosco già abbastanza il tema, posso abbandonarne la lettura.  Eppure come dei flash, i miei occhi raccolgono parole frammentate come : “ ci attanagliava l’angoscia,……un senso di oppressione e di dolore fisico…… quel sito maledetto”. Mi entra dentro un po’ di sofferenza e……sono a Caserta, è il 9 luglio 2011, fa molto caldo. Stiamo partendo per Fenestrelle. Accanto a me uomini e donne di cui conosco poco, forse qualche volto già scorto altrove, forse qualche nome non del tutto inedito, non altro. Non so dirvi molto del viaggio, perché non rammento strade e nomi ma solo un sentimento profondo, quasi viscerale, d’identificazione con ciò che mi circonda. Così cammino sui sentieri di Fenestrelle . Cammino e vedo sulla pietra il sangue dei nostri giovani eroi trucidati per un giuramento di fedeltà. Cammino e sento il freddo della neve che a poco a poco paralizza, mentre piango il sole della mia terra. Cammino e sono in mezzo ad una strada di Torino nel 1960, non so dove andare perché, qui, non si affitta ai meridionali. Cammino e parlando un inglese mischiato col mio dialetto, tento la fortuna in questa strada Newyorkese perchè “o briganti o emigranti”. Cammino e mi sento chiamare dal capoufficio nella Milano anni ’70, mi dice che gli dispiace, che mio padre è morto; io avrei voluto accompagnarlo negli ultimi istanti ma devo stare qui. Cammino ed ho 11 anni, non voglio piangere, cerco solo di disinfettare la ferita che lo spintone di un mio compagno mi ha procurato, facendomi precipitare a terra, perché dovevo stare lontano da lui, perché puzzavo come tutti i napoletani. Cammino ed i medici mi hanno detto che non mi rimane molto da vivere perchè sono nato e cresciuto nella terra dei fuochi. Cammino e, finalmente, insegno a tempo indeterminato in questa scuola nel padovano, tuttavia oggi è un giorno triste, un giorno dove l’orgoglio del mio diventare insegnante si è scontrato con le parole del mio preside che mi ha definito il peggio del sistema scolastico italiano essendo io, donna, meridionale, laureata a Napoli e per di più con uno sgradevolissimo accento. Cammino e mi chiamo Nicola Zitara, con rabbia e lucidità, cercherò, indagherò la verità e renderò al mio popolo giustizia. Si, io sono tutti loro e sono anche questi miei compagni di viaggio che fanno discorsi con la voce rotta dall’emozione ed hanno gli occhi lucidi per questo giorno di tormentosa memoria. Tutti con questo stesso sentimento che ci unisce. Forse è da qui che dobbiamo partire per fondere insieme tutte le realtà del nostro disunito e sgangherato “mondo meridionalista” che ha molti nomi, si chiama Comitati due Sicilie, si chiama Insorgenza, si chiama Neoborbonici, si chiama Mo, si chiama partito del sud, ecc., ma che ha un unico ideale, un medesimo sentimento di appartenenza Un bravo a Fiore Marro che, in questo suo bell’articolo, ha saputo prendere il lettore per mano e portarlo con sé in un viaggio nel passato, osservato, però, con gli occhi del presente. Grazie presidente.  Lucia Di Mauro

Amiche

 

La mia amica si chiamava Anna, era la mia migliore amica. Non ricordo bene perché, forse era tranquilla molto più di me. C'erano da dividere tra noi i piatti succulenti preparati da lei, sempre squisiti, e il sonno, quando io non dormivo. Anna non abitava in collina, come me, ma dove il cemento grigio rende grigio il celo d'una ventosa giornata invernale. Il pulman per giungere a casa sua finiva lì la sua corsa e quando dovevo prenderlo, per tornare nel mio quartiere, prima d...i salire ero obbligata a chiedere se il mezzo andava al deposito oppure “giù Napoli”.
Anna un giorno fece un sacrificio per me: lei ed io volevamo lui, ma lui voleva lei, così lei non gli parlò più. D'allora tutte le donne sono amiche mie, anche se non lo sono.
A lui non parlasti più, ma quante parole tra noi due, soprattutto a telefono. Ricordi? Tu ammiravi le mie parole di poesia, “ermetiche” dicevi; io non ti ho mai confessato che ammiravo e un po' invidiavo le tue, dirette semplici e capaci di cogliere il concreto, come quando rispondesti a quei due cretini. Rido ancora.
Tu non volevi nemmeno la patente, ma io, capisci, dovevo trovare strade e perdermi per ritrovarle.
Così ti parlai di “palle al piede” o qualcosa di simile. Ma tu nemmeno allora andasti via.
Mi salutasti dopo il congedo di tua madre: io e lei appartenevamo al tuo mondo bambino.
Quanto è trascorso? Non so, ma adesso sono grande sai, ci sono riuscita, almeno mi pare per quest'ora.
Ho altre amiche che mi raccontano la nostalgia del tempo vissuto. Io no, io non rimpiango allora, né mi mancano i passi forti di paura e il non sapere mai. E malgrado le loro uniformi voci, a te lo posso dire, oggi sto molto meglio.
Lucia Di Mauro

lunedì 18 aprile 2016

Il potere degli sbandati

 
Eppure la mia generazione derideva Dio, famiglia, patria. Nata dopo il ragazzi “On the Road” (Sulla strada”, romanzo Jack Kerouac, manifesto sessantottino), aveva assorbito in sé i valori della modernità, teorizzati dagli intellettuali almeno un paio di secoli prima, ma senza esserne consapevole. Semplicemente, era ovvio, il nuovo dettava: “Religione, oppio dei popoli. Famiglia, strumenti di controllo e prigione affettiva. Patria, una convenzione per arricchire i mercanti d'armi”. Tutto il resto era dubbio ed il dubbio era l'unica verità, l'unico valore. Fu l'epoca del relativismo, che noi accettammo con la stessa acriticità con cui i nostri padri avevano creduto nei tre punti cardine della loro società.

Il tempo è passato, il mondo è cambiato. Oggi parlare di religione, famiglia, patria è un po' ingenuo, è proprio d'un idealismo da martire per la causa, qualunque essa sia.

Nei salotti radical chic, virtuali o televisivi, per essere credibile devi esprimerti in termini di signoraggio, potenza delle banche, governo massonico del mondo, lobby, ecc....Usando codici di un vecchio linguaggio la parola d'ordine non è tanto denaro, ma POTERE.

La mia generazione ed io, in fondo, continuiamo ad assistere da spettatori ad una rappresentazione poco comprensibile: troppi cambiamenti per poter credere in qualcosa.

Così assisto allo scorrere, a singhiozzo, delle notizie sulla mia Home page di facebook: ognuno offre al mondo una piccola parte di sé, anche nella falsità di una maschera; ognuno vorrebbe attenzione, senza pensare che ciò che si svende perde la sua preziosità.

M'impongo, almeno per dieci minuti, di leggere tutto ciò che passa davanti al mio sonno e vedo te: un omino senza età, leggermente genuflesso in una preghiera, con una bandiera sulle spalle, di fronte all'orrore.

Non so perché ma d'improvviso tutti i miei valori sono lì con te e capisco che religione, famiglia, patria sono radici, origine, identità; sono io stessa.

Così in uno Stato di morti, la mia Patria è viva!

Napoli 17 aprile 2016

Lucia Di Mauro


domenica 29 novembre 2015

Quale ruolo internazionale per le due Sicilie?




La situazione internazionale è sempre stata decisiva nella sorte di singoli Stati e, come sappiamo, è stata la causa principe nella caduta del Regno delle due Sicilie. L'autodeterminazione dei popoli è una chimera ad uso e consumo delle grandi potenze coloniali che hanno succhiato il sangue a tre quarti del globo terrestre. Nell'attuale frangente internazionale, noi potremmo rappresentare l'ago della bilancia , la pedina decisiva da muovere, se è vero, com'è vero che Lampedusa è l'ingresso in Europa degli extracomunitari, potremmo noi dettare leggi al mondo occidentale, mediando tra il mondo arabo e le grandi potenze nord europee. A questo proposito è recente la notizia di una Francia che colpevolizza l'Italia per aver fatto entrare i terroristi responsabili degli attentati di Parigi in Europa. Scrivendo noi, però, intendo soprattutto dire noi duosiciliani più che italiani, perché i veri favoriti nella sorte di una situazione geografica favorevole che ci permetterebbe di essere il ponte di collegamento tra Europa e mondo mediterraneo, siamo noi meridionali d'Italia. Tuttavia il mondo meridionalista è incapace persino di riuscire a chiedere un referendum come quello voluto dai catalani, figuriamoci come potrebbe dettare legge a livello internazionale sfruttando le sue, pur favorevoli, condizioni attuali.

venerdì 16 ottobre 2015

Non sono solo canzonette.

Napoli 15 ottobre 2015
“Io che sò l’ultimo emigrante….”, cantava Mario Merola, profetizzando ciò che sarebbe avvenuto. Infatti l’opera di questo grande artista  e tutto l’archivio storico della canzone napoletana vanno via, partono, migrano all’ombra del Dom de Milan.
Come al solito i lamentosi napoletani si sono permessi di porre obiezione al trasferimento, affermando che non si comprende come Milano possa essere considerata  la sede più opportuna per  l’archivio della canzone storica napoletana, espressione dell’identità culturale partenopea (duosiciliana)  e non meneghina.
Qualcun altro degli appartenenti alla genia terronica, inoltre, asserisce e divulga l’idea che sia in atto un fare colonialista del nord verso il sud: “Il meridione – dicono – ha subito un’invasione da parte dello stato savoiardo ed oggi ne subisce le conseguenze. Come tutti gli stati colonia, anche il sud Itaglia, è progressivamente sfruttato e spogliato da un altro stato invasore. Eravamo un paese florido, con poche tasse, con una ricchissima banca nazionale, all’avanguardia in tanti settori ed oggi siamo la pattumiera d’Italia. Ora ci hanno tolto ciò che nel mondo viene riconosciuto come la manifestazione più bella dell’arte napoletana. L’arte napoletana la si vuol far diventare arte italiana e la napoletanità colta deve essere cancellata”.
Per fortuna la ragione da opporre a tali insulse obiezioni è inoppugnabile: il trasferimento si è reso necessario in quanto l’archivio sarebbe progressivamente andato in degrado per un grave problema esistente a Napoli. Quale problema? L’umidità. Infatti Napoli è città di mare, dunque è umida per definizione. Si sa che tra i napoletani l’artrosi è diffusissima.
Certo è evidente che con tale ragionamento il leone di San Marco a Venezia, ad esempio, dovrebbe erodersi un po’ alla volta per l’umidità, perché la splendida città che lo ospita è città sul mare, più che di mare. Ma anche il castello sforzesco, a Milano, dovrebbe ammuffire per l’umidità della nebbia del territorio. Perché ciò non accade? Perché quelle sono nebbia ed umidità padane ed in quanto tali rispettose dell’ambiente e della cultura, mica come l’umidità camorristica napoletana.
Tuttavia, attraverso indagini effettuate da capacissimi giornalisti padani, è emerso che la richiesta di collocare una parte della storia di Napoli nel capoluogo lombardo, proviene da molto in alto Sembra, infatti, che la stessa Madunina de Milan abbia, più volte, richiesto d’ascoltare canzoni napoletane. S’era stufata della solita lagna: O mi bela Madunina che te brilli de luntan….”.
Facciamo sentire la nostra voce: firmate la petizione! Lucia Di Mauro
https://www.change.org/p/ministro-franceschini-presidente-rai-monica-maggioni-l-archivio-storico-della-canzone-napoletana-deve-restare-a-napoli?recruiter=402307600&utm_source=share_petition&utm_medium=copylink


lunedì 14 settembre 2015

Il volto della città


Ho appena terminato la lettura del pregevole articolo del dott. Gigi Di Fiore dal titolo :”I 30 anni dall'omicidio di Giancarlo Siani nella Napoli delle due città”. La mia penna in cerca di maestri ne ammira sinceramente la fattura, ma, purtroppo, riguardo al contenuto, non mi sento in coscienza di sottoscriverlo.

Lo stereotipo che vuole Napoli una città anarchica, fino a delinquere, nella sua anima popolare e massonico-giacobina nei ceti borghesi o intellettuali, è frutto di quella visione della napoletanità figlia di pregiudizi risorgimentali, creati scientemente per affossare la fiorente economia duosiciliana, a vantaggio di quella delle zone più a nord del paese.

La divisione tra borghesia e plebe, made in Naples, è un falso. L'opposizione tra borghesia e plebe, con i loro quartieri rappresentativi, si può trovare ovunque, non solo nella città Partenopea. Ad esempio a Roma esistono i Parioli e la Garbatella, a Torino troviamo il quartiere Borgo Po e Barriera Milano, a Parigi incontriamo Villa Montmorency e Pigalle, ecc

Non mi si racconti, poi, che ci si spara solo a Napoli. Baby-gang ne esistono in tutte le periferie o zone difficili delle grandi metropoli. I nostri piccoli delinquenti in erba non sono diversi dai teppistelli delle altre città, l'unica differenza, forse, sta nella definizione: le nostre baby-band hanno una caratteristica in più, sono, ineluttabilmente,irreversibilmente, “ baby-band di camorra”. Purtroppo, non si riflette che la delinquenza camorrista è delinquenza del nascondimento e non dell'affermazione violenta, del consenso e non del dissenso popolare. Questa delinquenza tracotante, violenta, prepotente è tipica di adolescenti in cerca di affermazione nell'io personale e null'altro.

Sfortunatamente dobbiamo notare che lo stato italiano, come non ha saputo combattere la grande delinquenza organizzata, non riesce nemmeno a fermare quattro bulletti disadattati.

Per quanto riguarda quella parte d'umanità appartenente a quartieri meno poveri, ricordo che una certa parte della borghesia è stata coinvolta nella massoneria formandone l’ossatura, dovunque, e non solo oggi.

Napoli dai due volti? La città descritta nell'articolo, violenta, imprevedibile, divisa, cattiva, anarchica, abitata da un'umanità senz'anima, uno spettro del suo grande passato, è una città senza fattezze, senza volto..

Mi chiedo, perché attaccare in modo così costante e subdolo la più grande città del mezzogiorno? Perché non attaccare Torino, piuttosto che Firenze o Venezia? Cosa fa paura di Napoli, a chi e perché?!